Leonardo Beccegato per il Giubileo - (2000) – Renato Polacco – Professore
d’arte medioevale Università Ca’ Foscari
di Venezia
Sullo
scorcio ormai del secondo millennio la produzione artistica di Leonardo
Beccegato, che si configura con un consistente numero di dipinti ispirati da
diverse circostanze accidentali e quindi proponenti tematiche diverse, sembra
aver invertito la rotta seguita dai pittori attivi nella fine dell’Ottocento e
nel corso dell’intero Novecento.
Già dagli
ulteriori esiti dell’Impressionismo, sperimentato in ogni sua risorsa offerta
dalla luce e dal colore combinati con le tecniche più disparate messe a punto dagli
artisti, si era assistito al progressivo disgregarsi dell’immagine intesa come
“mimesis” della natura e al deformarsi di essa alla luce dello stato d’animo e
dell’interpretazione data dalle categorie intellettuali dei pittori fino alla
sua completa sparizione e all’eliminazione totale di ogni connotazione
spazio-temporale a cui potessero riferirsi riflessioni, sensazioni e sentimenti
suggeriti da combinazioni cromatiche e da segni caratterizzanti le opere di
pittori e non solo.
L’astrazione
cromatico-simbolica ha dunque costituito la dominante linguistica di gran parte
della produzione pittorica del trascorso secolo caratterizzato da una
generalizzata crisi esistenziale da cui il nuovo millennio sembra dare sintomi
di orientamento a riscattarsi in qualche modo per opera di una fiducia
riacquistata nelle risorse umane, alimentata da un susseguirsi ininterrotto,
soprattutto in questo ultimo decennio, di soluzioni proposte ai problemi più
scottanti delle scienza e del pensiero.
Si è scritto
fino ad oggi a proposito dei dipinti di Beccegato, che immagini plasticamente
costruite si dissolvono in vaporose parvenze evocate dalla luce, quando,
secondo il mio modo di vedere e secondo quello dell’artista, che penso di
conoscere con sufficiente sicurezza, sarebbe forse più coerente scrivere ed
affermare che dalle tenebrose atmosfere rischiarate da bagliori fumanti che
paiono emanati da magma ancora incandescente, ultimi esiti della non più così
misteriosa esplosione da cui fu generato il sistema solare e con esso il mondo
in cui viviamo, sembrano prendere forma, dall’aggregarsi e dal condensarsi
delle loro varie componenti, le immagini di primordiale suggestione che animano
i suoi dipinti.
Beccegato
prima che pittore è ingegnere, è uomo di scienza che, forse più di altri
artisti, sente in sé una necessità inconscia di esprimere in pittura
problematiche attinenti l’origine del cosmo e della vita in esso.
Trattasi di
continue evocazioni di lontane suggestioni che dal misterioso inconscio del
pittore emergono e prendono forma via
via sempre più organica, in un processo contestuale alla presa di coscienza da
parte dell’artista delle diverse realtà e dei momenti precisi, seppure
provenienti da lontananze insondabili, a cui si riferiscono la emozioni, i
sentimenti e le angosce che si agitano nel subconscio di Beccegato. Dicevo
lontananze insondabili in quei cieli notturni o pre-aurorali ancor lampeggianti
degli ignei bagliori del “day after big bang” il cui fragore e i cui lampi sono
ancora vivi nell’inconscio di Beccegato e di ogni uomo in quel senso di dolore
che accompagna la nostra vita, lascito dell’inafferrabile intensità di
sofferenza che ha dato l’origine al moto degli astri e della vita.
Così va
intesa la dimensione atmosferica primordiale costantemente presente nei dipinti
di Beccegato, anche se variata in gamme cromatiche diversificate: dai suoi elementi
fluidi di vapori incandescenti sembrano coagularsi le forme di un’umanità
ancora immota e sbigottita dalla grandiosità dell’evento che l’ha creata, ma
nel corso della produzione del pittore si evolve per opera della scienza, della
musica, della bellezza e delle virtù che per meglio configurarsi, abbisognano
delle tentazioni.
Ma non
bastano la scienza e la civiltà per portare l’ordine e per alimentare di fede
l’uomo e soprattutto per assopire quel senso di dolorosità collegata alla genesi
della sua vita nel senso più lato: l’unica possibilità di riscatto da questa sofferenza,
onnipresente nell’umanità, viene dal messaggio di Cristo, dalla Sua venuta
sulla Terra o meglio dal Suo annuncio: ecco che le immagini primordiali, messe
in forma da luci ancora incandescenti, acquistano una geometrica armonia di
proporzione pierfrancescana o meglio alla Laurana nella Annunciazione. In essa la Vergine Annunciata è avvolta da una luce
soffusa che dà con purezza delle forme da Essa evidenziate, un senso di
speranza nelle ricomposizione e nella armonizzazione delle aggregazioni ancora
imperfette ovviamente nel momento della creazione e nel corso dei miliardi di
anni ad essa successivi non certo calcolabili.
Il messaggio
cristiano nei dipinti di Beccegato è decisivo per un consistente riassorbimento
della drammaticità e del dolore insiti nell’animo umano, e forse presente più
che in altri nella profonda sensibilità del pittore, nella fede e nella
preghiera in cui egli appare immerso nella Sacra
conversazione e davanti alla Vergine
con il Bambino e San Leonardo.
Il suo
linguaggio non è certo quello immediato, violento e acceso di imprevedibili incandescenze
di Gustave Moreau, neppure quello degli impressionisti e neppure quello di
Odilon Redon in polemica con essi, poiché alla “realtà vista”, da loro intesa
come una necessità per l’arte, contrappone una “realtà sentita”, ma è il
linguaggio di un maestro che chiude con la ricchissima e sfaccettatissima
sperimentazione svoltasi nel Novecento con il colore puro sfruttato fin nelle
sue più intime ed inafferrabili risorse da quelle fisiche a quelle
psicologiche, intuibili negli effetti da esso esercitati nell’animo umano e
nella inesauribile gamma di sentimenti dell’artista espressi nella più
doviziosa varietà e combinazione dei colori puri.
E’ il
linguaggio di chi ha trovato la fede per ricomporre e riaggregare immagini plasticamente
costruite, figure grandiose, che la crisi spirituale di più di un secolo di
pensatori, artisti e dell’umanità in genere, aveva portato alla
disarticolazione e alla disgregazione.
Sono personaggi
monumentali, statuari che, nella loro grandezza esprimono l’immensità del
dolore della vita e nello stesso modo esprimono l’altezza della dignità
dell’uomo nell’affrontarlo e nel cercare di sublimarlo nella fede.
La luce nata
da ignei vapori ancora fumanti, lontana rimembranza dell’ancor più lontana
creazione, negli ultimi dipinti, pur nella sua costante drammaticità, si
ammorbidisce in fasci di luce che sfiorano l’uomo e la donna con leggerezza e
delicatezza tali da suggerire un senso di serenità ancora non del tutto
raggiunta: è una luce che va letta come invito all’umanità ad affrontare i
nuovi millenni con riconquistata certezza.